La nostra storia

IMG_5706Il 31 dicembre 1960, alle ore 12:00, in un’aula del “Palazzaccio” di Piazza Cavour si riuniva il “Comitato Promotore della Camera Penale di Roma”.

Il Comitato era composto dagli avvocati Pietro D’Ovidio, Adolfo Gatti, Nicola Madia, Titta Mazzuca, Manfredo Rossi, Luigi Trapani e Raffaele Valensise, che fondavano la Camera Penale di Roma e costituivano così il primo “Comitato Direttivo”, che nominava Presidente l’avv. Nicola Madia e Segretario l’avv. Titta Mazzuca.

Quell’anno viene ricordato nella storia italiana per la caduta del Governo Tambroni sotto la pressione delle agitazioni popolari; per la prima volta, nelle elezioni amministrative di fine anno, i leader dei partiti politici pronunciano comizi dagli schermi televisivi; a Roma si tengono i giochi olimpici e negli ultimi giorni dell’anno muore Fausto Coppi; John Fitzgerald Kennedy viene eletto Presidente degli Stati Uniti.

Vale la pena riportare qualche riga del verbale manoscritto, che la Camera Penale di Roma conserva gelosamente insieme a tutti quelli che si sono succeduti fino ai nostri giorni e nel quale viene fissata la nascita dell’associazione dei penalisti romani, anche con l’ammissione dei primi iscritti: “Il Presidente informa il Comitato che sono pervenute le domande di ammissione alla Camera Penale dei Signori Avvocati: Guido Parlatore, Augusto Bassino, Domenico Cassone, Rocco Antonio Pasquini, Pier Ferruccio Ferri, Francesco Patanè, Vittorio Battista, Augusto Addamiano, Bruno Calvosa, Bruno Cassinelli, Sergio D’Angelo, Vittorio Bettini,Aldo Cavallo, Vincenzo Summa, Carlo D’Agostino, Vinicio De Matteis, Francesco Sebastianelli, Vittorio Marotti …

Il Comitato delibera all’unanimità l’ammissione di tutti i predetti avvocati, in qualità di soci, alla Camera Penale di Roma … aggiorna la seduta del Comitato al 10 febbraio 1961, nello stesso luogo …”.

Di lì a poco si sarebbero intraprese le prime battaglie e sarebbero state indette le prime astensioni. Sorprende, rileggendo quei verbali, la straordinaria attualità dei temi e delle iniziative.

Il 15 marzo 1961, il Comitato Direttivo decideva di trasmettere il seguente telegramma al Consiglio dell’Ordine di Milano: “Camera Penale Roma, richiamandosi comuni ideali ed interessi, auspica piena solidarietà colleghi Milano per astensioni udienze resasi indispensabile fini giustizia”.

Il 28 dicembre 1961, un deliberato del Comitato Direttivo manifestava “il disagio degli avvocati penali nell’esercizio della loro funzione, denunciando alla opinione pubblica la gravità del problema dei rapporti tra il Pubblico Ministero e la Difesa nel processo penale … rivendicando fermamente la necessità delle più ampie garanzie dell’Avvocatura nell’applicazione dell’opera difensiva nei limiti della Costituzione e della legge e rimarcando l’inderogabile esigenza di mantenere il dibattito giudiziario nella forma tradizionale di un contraddittorio libero da privilegi e da disparità di poteri tra le parti”.

Il 30 ottobre 1962, il Comitato Direttivo invitava il Consiglio dell’Ordine degli Avvocati di Roma a porre in stato di agitazione la classe forense per ottenere l’immediato intervento legislativo per la riforma del processo penale e dell’ordinamento giudiziario, oltre che dell’ordinamento professionale.

Il 30 settembre 1966, quello che ormai si chiama “Consiglio Direttivo” della Camera Penale, attribuisce le prime cariche sociali: l’avvocato Nicola Madia è eletto Presidente, Segretario è l’avv. Pietro D’Ovidio e Tesoriere l’avv. Gabriella Niccolaj. In quella stessa seduta, il Segretario D’Ovidio relaziona i Consiglieri sui rapporti con le prime Camere Penali italiane che si vanno costituendo, al fine di preparare una possibile Federazione Nazionale delle stesse: comincia a nascere l’idea della futura Unione delle Camere Penali.

In quegli anni Roma è teatro della “dolce vita” e di alcuni processi storici, nei quali per la prima volta l’Italia si dividerà fra “innocentisti” e “colpevolisti” (i processi Montesi, Bebawi, Fenaroli …), e poi dei primi scandali politici della prima repubblica (lo scandalo dei petroli, della Lokeed …) e del jet set (il Number One …).

E’ proprio in questo contesto che maturano alcune storiche conquiste in materia di garanzie processuali dell’imputato.

GLI ANNI DI PIOMBO

Tramontata un’epoca, arrivano gli “anni di piombo”. Sono gli anni dell’emergenza terroristica e delle battaglie della Camera Penale per la difesa delle garanzie, “persino” per quelle dei terroristi.

Sono anni difficili per l’avvocatura e per le sue battaglie ideali. Sono gli anni del rapimento e dell’omicidio di Aldo Moro e degli assassini politici da parte dei gruppi terroristici di sinistra e di destra, ma anche quelli della elaborazione da parte della magistratura dei cosiddetti “teoremi giudiziari”, che pretendono di introdurre, con valore di prova nel processo penale, ricostruzioni di carattere sociologico o politico.

I temi affrontati dalla Camera Penale sul finire degli anni settanta e all’inizio degli anni ottanta sono quelli delle garanzie processuali, contro la legge Reale, le perquisizioni consentite alla polizia “per blocchi di edifici”, i guasti della legislazione dell’emergenza sotto le spinte delle bande terroristiche, le garanzie difensive che ancora una volta si affievoliscono, la carcerazione preventiva portata sino al termine massimo di dieci anni e otto mesi.

Nel periodo della “lotta al terrorismo” si afferma la cultura del sospetto, si celebrano i primi “maxiprocessi” e cominciano a porsi i problemi del “pentitismo”: l’indagine di polizia perde i connotati tradizionali e molto spesso si affida alle accuse, più o meno riscontrate, dei cosiddetti “pentiti”.

Ma in questa fosca stagione la Camera Penale deve anche occuparsi delle disfunzioni degli uffici giudiziari e dei primi avvocati processati per presunti favoreggiamenti dei loro clienti: è l’emergenza che porta a confondere l’avvocato con il proprio cliente e che determina una limitazione dell’attività e del ruolo del difensore, che si cerca, troppo spesso, di intimidire e di emarginare.

Nel verbale del Consiglio Direttivo del 18 luglio 1984 può leggersi un intervento del Consigliere Vittorio Battista che, nel ricordare il disagio per le limitazioni che debbono subire gli avvocati nell’esercizio della attività professionale, auspica che l’assemblea degli avvocati prevista per quei giorni “consista in una dimostrazione di forza della classe forense, dalla quale dovrebbe scaturire la proposta di un eventuale sciopero ad oltranza nel caso in cui la situazione non migliorasse in tempo ristrettissimi”.

E’ con i primi anni ottanta che la Camera Penale perde le caratteristiche di una semplice “associazione di categoria”, per assumere i connotati odierni di un vero e proprio “soggetto politico” della avvocatura penale, rigorosamente concentrato sulle battaglie per i diritti civili, le garanzie processuali e la politica giudiziaria. In questa sua progressiva trasformazione e maturazione, la Camera Penale resta tuttavia trasversale a tutti gli schieramenti partitici.

MAFIA E GARANZIE:

UNA SFIDA PER LO STATO DI DIRITTO

Dopo gli anni del terrorismo e dopo quelli del “ritorno al privato”, giungono gli anni dell’emergenza della criminalità organizzata: le battaglie per le garanzie “persino” per i mafiosi.

La criminalità mafiosa emerge nel paese come un problema di straordinaria rilevanza politica e sociale, prima ancora che criminale: il paese è infatti diviso tra una maggioranza che ritiene che il fine giustifichi i mezzi (e che dunque, di fronte all’assalto della criminalità, è indispensabile affievolire o eliminare le garanzie del processo) e una minoranza che afferma invece che la punizione per i colpevoli anche dei reati più gravi debba essere inflitta solo all’esito di un giusto processo, celebrato con tutte le garanzie per l’imputato. Ma questo non sempre avviene nei processi di mafia, condotti quasi sempre sulla base della parola di veri o presunti “pentiti” e imperniati sulla figura giuridica del reato di associazione mafiosa, che insigni studiosi di diritto come il prof. Nuvolone consideravano un esempio di barbarie giuridica.

Anche in questo caso l’emergenza costringe l’avvocatura a schierarsi contro le leggi e i processi sostanzialmente “speciali” che si celebrano in una parte del paese, con la figura ed il ruolo degli avvocati ridotti a pura finzione scenica e il rigore della prova processuale ridotto a mera apparenza.

L’attacco della criminalità è durissimo: gli spietati ed ignobili omicidi dei magistrati Falcone e Borsellino nell’estate del 1992 lo dimostrano. Ma i penalisti, a costo della impopolarità, non riescono ad accettare che sui crimini delle bande mafiose si speculi per eliminare le garanzie processuali, ed intraprendono una lunga battaglia, fondata sulla astensione dalle udienze, contro il cosiddetto decreto “Scotti-Martelli” (che reca il nome di due ex ministri della Repubblica, i quali – coinvolti successivamente nelle inchieste di “Tangentopoli” – invocheranno per se stessi quelle garanzie del processo che la loro “cultura” giuridica aveva contribuito a scardinare).

E’ in questo periodo che si arriva ad arrestare gli imputati “per decreto legge”; e, ancora una volta, si allungano i termini della custodia cautelare prima del processo e si favoriscono le indiscriminate delazioni dei pentiti.

La Camera Penale di Roma guida, con quella napoletana, le iniziative di astensione degli avvocati italiani che culminano nell’Assemblea nazionale del Cinema Capranica del 10 luglio 1992, nel corso della quale centinaia di penalisti italiani respingono la ambigua mediazione del ministro Claudio Martelli e decidono di proseguire l’astensione fino al successivo 10 agosto, data di scadenza del decreto legge.

MANI PULITE

Con l’apertura delle campagne giudiziarie denominate “Mani Pulite” si apre una nuova stagione di stravolgimento delle garanzie processuali: arresti indiscriminati, carcerazione preventiva strumentalizzata palesemente per ottenere confessioni e soprattutto inaffidabili delazioni, sinergia tra Procure della Repubblica ed organi di stampa quale strumento collaterale alle inchieste giudiziarie.

E poi il periodo di “Tangentopoli”, nel quale, almeno sino al 1995, sono assolutamente isolate le voci di coloro che denunciano le violazioni processuali: sostanzialmente, ancora una volta, i soli penalisti.

Anche se si tratta di un’ulteriore emergenza nella vita giudiziaria, nuovi problemi si prospettano alla avvocatura organizzata: non quello della impopolarità, cui è da sempre è abituata (nelle piazze si inneggia alla forca per i politici), ma soprattutto quello di dover difendere il diritto ad un giusto processo per esponenti della classe politica e imprenditoriale, che in passato avevano fatto una bandiera dello stravolgimento del diritto di difesa e delle violazioni delle garanzie processuali (Andreotti, Martelli, i “giovani imprenditori” …).

Inoltre, forse per la prima volta, c’è da affrontare una polemica interna: una parte dell’avvocatura, specie nel foro milanese, rinunzia al ruolo di garanzia, di rigida tutela del proprio assistito a qualunque costo, per scegliere una impostazione di compiacenza ed acquiescenza nei confronti dei comportamenti di alcuni magistrati.

Ma, sotto ambedue i versanti, la posizione della Camera Penale romana, sulla scia delle battaglie storiche dei penalisti, è subito chiara: polemica nei confronti degli avvocati “collaborazionisti” (così vengono denominati dalla stampa); critica implacabile nei confronti del cosiddetto pool di Pubblici Ministeri di Milano e dello stravolgimento delle garanzie processuali.

Il giorno del suicidio in cella del manager Gabriele Cagliari, i telegiornali danno conto della ferma posizione della Camera Penale di Roma che denuncia l’uso distorto ed anomalo della custodia cautelare. La posizione dei penalisti romani è quella storicamente appartenente al patrimonio genetico dell’avvocatura: nessun intervento nel merito dei processi e delle accuse, ma sul versante delle garanzie non è possibile alcuna esitazione e dunque “persino” coloro che hanno fatto strame in passato dei principi di civiltà giuridica hanno diritto ad un giusto processo e al rispetto di quelle garanzie, anche quando – nel loro esclusivo interesse – divengono improvvisi ed ambigui sostenitori di un garantismo tutto strumentale a fini personali o di parte.

In effetti, poco prima del suicidio di Gabriele Cagliari, nel maggio del 1993, il Consiglio Direttivo della Camera Penale di Roma aveva predisposto ed approvato un lungo documento dal titolo “Riflessioni sullo stato della giustizia penale in Italia”, in seguito utilizzato dalla pubblicistica dei nostri giorni per riassumere ed esaminare la posizione dei penalisti in merito alle inchieste di “Tangentopoli” e che viene consegnato al ministro di Grazia e Giustizia, con la censura quasi totale della stampa. E’ in quel periodo che iniziano a venire affissi nel corridoio del Palazzo di Giustizia di Roma i manifesti polemici ed irriverenti che caratterizzeranno le gestioni degli ultimi Direttivi. Sono rimasti famosi, tra i manifesti, “Veleni e veline” che polemizzava ironicamente sulla diffusione a mezzo stampa delle notizie sulle inchieste giudiziarie milanesi e quello intitolato “Armani pulite”, che ironizzava sui metodi investigativi del pool di Milano dopo una serie di arresti nel mondo della moda.

IL GIUSTO PROCESSO E LE SFIDE DI DOMANI

Il resto è storia recente. E’ la storia straordinaria delle battaglie per il “giusto processo” e per il ripristino del principio del contraddittorio, e delle conseguenti conquiste della riforma dell’art. 111 della Costituzione (Legge 23 novembre 1999, n. 2), della Legge sulle “indagini difensive” (Legge 7 dicembre 2000, n. 397).

Un capitolo spinoso e difficile è quello delle leggi sulla difesa di ufficio e sul patrocinio ai non abbienti (Legge 24 febbraio 2005, n. 25), volute dalla stessa avvocatura penale, la cui attuazione ha tuttavia dato luogo all’insorgere di nuove ed impreviste problematiche, inducendo la stessa Camera Penale di Roma a farsi promotrice di una proposta di riforma, intorno alla quale si sono coagulati i consensi di tutte le forze politiche parlamentari e che è sfociata nelle recenti e innovative disposizioni, che hanno riordinato la materia (Decreto Legislativo 30 gennaio 2015, n. 6).

Nel corso di questi ultimi anni, la Camera Penale di Roma si è distinta per uno straordinario impegno, non solo nell’ambito territoriale, ma anche in campo nazionale, all’interno dell’Unione delle Camere Penali, fornendo un valido contributo alla riforma dello Statuto dell’Unione, ed ottenendo ampio riconoscimento dei propri meriti in moltissime iniziative di politica associativa.

Oggi, grazie al contributo dei suoi Soci, la Camera Penale di Roma, può vantare di aver portato a termine una serie di importanti iniziative e di successi in campo associativo, politico e comunicativo, fra i quali vale la pena di ricordare i seguenti: la gestione di una serie di seminari (“I martedì della Camera Penale”) e di convegni anche in collaborazione con la Università di Roma (come quello sulla cross examination o quello sulla obbligatorietà dell’azione penale), la riforma dello Statuto, resasi ormai necessaria al fine di ammodernare e di adeguare le regole statutarie alla nuova realtà dell’avvocatura; la revisione dell’albo degli iscritti, la fondazione del Centro Studi “Alberto Pisani”, intitolato al nostro indimenticabile Collega e Presidente; la gestione della Borsa di Studio “Carlo Aricò”; la apertura del sito web della CPR, recentissimamente rinnovato, che – unitamente alle CPR News e soprattutto alla rivista on line “CentoUndici”, anch’essa recentissimamente rinnovata – è destinato alla diffusione delle idee ed alla più rapida comunicazione dei deliberati e delle notizie. Particolare impegno ha richiesto l’organizzazione della gestione della Scuola Territoriale, che si sviluppa attraverso il Corso di Formazione Tecnica e Deontologica dell’avvocato penalista ed il Corso di Formazione Continua e che rappresenta oggi un settore vitale dell’associazione, finalizzato alla costruzione di una avvocatura specializzata, moderna, capace di operare consapevolmente in una società in rapida trasformazione, ma sempre nella tutela delle garanzie all’interno del processo penale. Di grande rilievo politico e comunicativo è stata poi l’esecuzione e la pubblicazione, con la collaborazione di Eurispes, della ricerca sulle effettive ragioni della durata del processo penale, che ha rappresentato l’avvio di un modo nuovo di intendere l’approccio alla discussione dei temi della giustizia, lontano da inutili ideologismi e fondato sulla attenta analisi della realtà dei fenomeni; tale ricerca è stata replicata, a livello nazionale, dalla U.C.P.I. in ben 27 Camere penali territoriali. Ed ancora, è stata di estremo rilievo la ideazione e la realizzazione, nell’anno 2007, della prima inaugurazione dell’Anno Giudiziario dei penalisti italiani, che ha costituito un’iniziativa che ha definitivamente affrancato l’avvocatura penale dalle mortificanti partecipazioni alle cerimonie ufficiali, che ci vedevano ospiti marginali, senza volto e voce. Da allora la cerimonia della inaugurazione dell’Anno Giudiziario dei penalisti italiani è un appuntamento nazionale dell’U.C.P.I. di grande valore politico.

Gli anni a venire pongono l’associazione di fronte a sfide formidabili: le radicali mutazioni dell’assetto ordinamentale e della professione sono tali da porre in dubbio le certezze che avevano sorretto l’avvocatura nella sua storia passata e costringono tutti a lavorare alla ricerca di nuovi equilibri e di nuove identità.

L’INDAGINE “MAFIA CAPITALE” E LA RISPOSTA DELLA CAMERA PENALE

La Camera Penale di Roma ha denunciato, già all’indomani dell’esecuzione della prima ordinanza di custodia cautelare relativa all’indagine “Mafia Capitale” della Procura di Roma, l’illegittima spettacolarizzazione e diffusione di atti di indagine, la deliberata ricerca di una sponda mediatica tesa a creare consenso popolare, la pilotata fuoriuscita quotidiana di parti di informative di polizia giudiziaria finalizzate alla preventiva distruzione della immagine degli indagati, prima –  ed a prescindere – dallo sviluppo del processo.

Subito dopo, il 16 dicembre 2014, l’Assemblea dei Soci ha deliberato la stato di agitazione dei penalisti romani e il Direttivo, dopo aver diffuso un ampio e articolato documento di denuncia, ha istituito una Commissione di studio sulla delicata materia dell’ascolto di conversazioni tra avvocato e cliente da parte dell’Autorità Giudiziaria. All’esito dei lavori, la Commissione ha formulato un’articolata proposta di riforma della disciplina vigente che promuove una radicale modifica legislativa delle disposizioni in materia per affermare l’inviolabilità delle conversazioni tra i difensori e le persone assistite. Da un’argomentata critica dell’attuale normativa anche in relazione all’evoluzione giurisprudenziale interna ed ai principi di segno opposto che emergono dall’esame della giurisprudenza europea, si sviluppa la proposta di legge che affronta il problema dell’ascolto differito, della individuazione del mandato professionale e delle intercettazioni all’interno degli studi legali, individuando soluzioni – anche tecniche –  che garantiscano la massima tutela del segreto professionale. La modifica legislativa elaborata è finalizzata ad affrancare la disciplina delle garanzie del difensore da una concezione “etica” della giurisdizione, per ricondurla ai parametri propri della cultura democratica dello “stato di diritto”, a tutela non solo delle inviolabili conversazioni tra l’avvocato e la persona che assiste, ma soprattutto del diritto di difesa. Il progetto di riforma dell’articolo 103 c.p.p. è stato consegnato al Procuratore della Repubblica di Roma e diffuso attraverso i canali istituzionali della Camera Penale.

Dall’impegno della Camera Penale, dalle denunce e dalle numerose interlocuzioni, è scaturita la Direttiva sui criteri in tema di intercettazioni di conversazioni tra l’indagato e il suo difensore del 16 giugno 2015 a firma del Procuratore della Repubblica. Il documento fissa alcune linee direttive uniformi per la polizia giudiziaria e per i magistrati dell’ufficio nel rispetto delle garanzie della libertà di mandato difensivo. Inoltre, è stato elaborato un esposto disciplinare nei confronti dei giornalisti che, negli articoli di stampa apparsi in occasione dell’inchiesta “Mafia Capitale” abbiano violato il divieto di pubblicazione degli atti di un procedimento penale nella fase delle indagini preliminari ex art. 114, commi 2 e 3, c.p.p.. In sostanza, come denunciato nel documento sull’inchiesta “Mafia Capitale”, il Direttivo ha stigmatizzato che “i tempi cambiano, le emergenze si moltiplicano ed incidono sostanzialmente nel modo di legiferare, di fare le indagini e di esercitare la giurisdizione. L’avvocatura penale, però, è sempre la stessa, forte delle proprie battaglie, combattute ricordando a tutti che il rispetto dei diritti e delle garanzie costituzionalmente previste deve essere la sola guida per esercitare l’attività giurisdizionale in un paese democratico.

La Camera Penale di Roma continuerà a vigilare  con tutte le sue forze per contrastare ogni forma strumentale e distorta di esercizio della giurisdizione e  di violazione del  diritto di difesa”.

IL PROGETTO CAMERE PENALI / MIUR: “I PENALISTI NELLE SCUOLE SECONDARIE – PROGETTI SULLA LEGALITÀ”

È iniziato il percorso di formazione dei gruppi – ognuno composto da tre avvocati – che andranno nelle scuole secondarie di Roma e del Lazio a parlare ai giovani. L’obiettivo è far circolare la cultura della legalità, intesa quale rispetto dei diritti fondamentali e delle garanzie del giusto processo. I penalisti delle Camere penali diventano messaggeri di legalità, esaltando così il ruolo sociale dell’avvocato.
La Camera Penale di Roma ha dato attuazione al protocollo d’intesa tra Unione delle Camere Penali Italiane e Ministero dell’Istruzione, dell’Università e della Ricerca, sottoscritto il 18 settembre 2014, che ha come obiettivo l’impegno reciproco ad agevolare la formazione giuridica e l’orientamento scolastico e professionale degli studenti della scuola secondaria attraverso progetti congiunti sui temi del Diritto rivolti ai ragazzi. In particolare, l’Unione delle Camere Penali si è impegnata alle seguenti attività: 1) contribuire alla formazione degli studenti attraverso incontri relativi al tema della legalità presso le scuole secondarie e ad agevolare la conoscenza degli studenti sulla “conformazione del sistema costituzionale, integrato dalle norme CEDU, relativo ai diritti inviolabili, alla giurisdizione e al diritto; 2) mettere a disposizioni delle scuole le migliori professionalità di cui dispone; 3) consentire la partecipazione degli studenti a incontri, progetti, lezioni e stage su temi riguardanti i principi fondamentali del nostro ordinamento giuridico; 4) predisporre progetti di attività da svolgere all’interno delle scuole, anche in collaborazione con le associazioni dei genitori e degli studenti; 5) sensibilizzare gli studenti ad una consapevolezza del valore della legalità e dunque al rispetto delle regole di convivenza civile.

Confrontarsi con i giovani studenti su questi temi non è facile, in quanto serve essere preparati oltre che nel contenuto, essenzialmente nelle modalità comunicative e nella metodologia degli incontri. Per questo è stato predisposto un modello didattico da utilizzare nelle aule con slides e filmati che verrà riprodotto e commentato con i ragazzi. Si tratta di una straordinaria opportunità per uscire dai soliti circuiti e dialogare con la parte migliore della società.

LA DIFESA D’UFFICIO

Nel corso del 2015 è entrata in vigore la riforma della difesa d’ufficio. L’articolo 16 della legge 247 del 2012 (Legge professionale) ha introdotto la delega al Governo all’adozione di un Decreto Legislativo recante il riordino della materia della Difesa d’Ufficio e contenente la previsione dei criteri e delle modalità di accesso ad una lista unica, mediante indicazione dei requisiti che assicurino la stabilità e la competenza della difesa tecnica d’ufficio. Il Decreto Legislativo n. 6 del 31 gennaio 2015 ha introdotto la nuova disciplina oggi vigente che ha comportato un significativo impegno della Camera Penale – attraverso la Scuola di …………….. – nell’adattare i corsi di formazione per i difensori d’ufficio alle nuove norme. In sostanza, le novità introdotte dalla nuova legge riguardano principalmente i requisiti per l’iscrizione: comprovata esperienza professionale per anni 5, o frequenza di un corso biennale con superamento di un esame, oppure aver conseguito il titolo di specialista ai sensi dell’articolo 9 della legge professionale. Per essere iscritto, nell’elenco l’avvocato non deve aver riportato sanzioni deontologiche superiori all’avvertimento e dimostrare di aver esercitato nell’anno un numero minimo di difese penali.

Oltre ai corsi di formazione, la Camera Penale è impegnata nella gestione dei turni della difesa d’ufficio e nel controllo del funzionamento dell’istituto, in maniera da assicurare una difesa effettiva a tutti i cittadini: il difensore d’ufficio è, infatti, il garante della lealtà dello Stato. Rimane ancora il problema del ricorso sistematico alla sostituzione del difensore d’ufficio assente ai sensi dell’articolo 97 comma 4 C.p.p.. La norma determina il frazionamento eccessivo della difesa con il concreto rischio di un pregiudizio effettivo alle garanzie della difesa dell’imputato. Con il sistema vigente, vi è il rischio elevato di una riduzione della continuità della difesa, componente essenziale del concetto di effettività della difesa. Sul punto, la Camera Penale è impegnata anche attraverso la collaborazione con altri soggetti del processo alla predisposizione di protocolli finalizzati a rafforzare l’effettività della difesa d’ufficio. Attraverso la Commissione Difesa D’Ufficio, nel giugno 2015, la Camera Penale ha organizzato un importante convegno per illustrare le nuove regole introdotte con il Decreto Legislativo n, 6 del 2015 e discutere con i magistrati sulla opportunità di realizzare protocolli di collaborazione.

ALTRE NOVITÀ LEGISLATIVE

 Le novità legislative in materia processuale introdotte nel 2014 e nel 2015 hanno richiesto un impegno di aggiornamento professionale degli avvocati e un contributo concreto all’organizzazione degli uffici per il miglio funzionamento dei nuovi istituti. Il riferimento, è alla messa alla prova, alla normativa sulla particolare tenuità del fatto e alla riforma delle norme in materia di misure cautelari.

Quanto alla messa alla prova, la Camera Penale ha sottoscritto un protocollo di collaborazione che contiene le linee guida e le modalità operative che dovranno essere adottate dai Giudici del Tribunale di Roma, dall’UEPE e dagli Avvocati per l’attuazione concreta dell’istituto.
Al fine di monitorare l’osservanza e la concreta utilità di tali procedure attuative nonché di proporne modifiche migliorative, la Camera Penale  ha formato un gruppo di lavoro i cui membri parteciperanno all’“Osservatorio permanente MAP”, composto da magistrati, avvocati e personale dell’U.E.P.E., istituito dall’art.12 dell’allegato protocollo. Proprio per assicurare una costante vigilanza sul funzionamento degli uffici giudiziari e tenere i relativi rapporti la Camera Penale ha istituto le Commissioni   “Rapporti con il Tribunale e la Corte d’Appello, Prassi Distorte, violazione dell’art. 124 cpp ed iniziative conseguenti” e “Rapporti con la Procura, l’Ufficio GIP, il Tribunale del Riesame e della Prevenzione”, alle quali hanno aderito numerosi iscritti.

Il 2015 ha visto l’entrata in vigore del nuovo Codice Deontologico Forense, emanato dal Consiglio Nazionale Forense in attuazione della legge 247/2012. Sono state introdotte importanti modifiche riguardanti la specifica attività del penalista e la Camera Penale ha costituito una Commissione per l’approfondimento e lo studio delle questioni più problematiche, anche nell’ottica della rivendicazione delle specializzazioni, la cui disciplina – seppur introdotta con la nuova legge professionale – è in sede di definizione.

L’entrata in vigore del Trattato di Lisbona nel 2009 ha rafforzato la rilevanza nel nostro ordinamento interno della normativa europea e della giurisprudenza della Corte europea dei diritti dell’Uomo che oggi rappresenta una fonte del diritto essenziale. L’interpretazione del diritto interno passa attraverso il costante riferimento ai principi contenuti nella Convenzione Europea. L’articolo 6 CEDU rappresenta un presidio di garanzia per il riconoscimento dei diritti fondamentali.
L’Europa ha avuto un ruolo importante nella denuncia delle gravi condizioni disumane delle carceri italiane e anche su questo tema la Camera Penale, con la sua Commissione Carcere, da sempre porta avanti numerose iniziative ed ha anche attivamente partecipato al fianco del Partito Radicale alla raccolta delle firme per i referendum del 2014.