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NON PIÙ CARTA BIAnca

Sulla presentazione pubblica degli indagati come colpevoli, recepita la Direttiva 2016/343/UE.
Non sappiamo dire con certezza se la nomina del Ministro Cartabia abbia portato nuova linfa all’intero sistema istituzionale.
Certo è che il recepimento della direttiva 2016/343/UE del 9 marzo 2016, sul rafforzamento del principio di presunzione di innocenza e del diritto di presenziare al processo nei procedimenti penali, rappresenta un segnale positivo per la garanzia del diritto di difesa e per la tutela del cittadino dalle ingerenze di un’informazione talvolta manipolata e distorta.
Secondo il dettato dell’articolo 4 della Direttiva adottata, in relazione ai “riferimenti in pubblico alla colpevolezza”: gli Stati membri adottano le misure necessarie per garantire che, fino a quando la colpevolezza di un indagato o imputato non sia stata legalmente provata, le dichiarazioni pubbliche rilasciate da autorità pubbliche e le decisioni giudiziarie diverse da quelle sulla colpevolezza non presentino la persona come colpevole; gli Stati membri provvedono affinché siano predisposte le misure appropriate in caso di violazione dell’obbligo citato in precedenza di non presentare gli indagati o imputati come colpevoli, in conformità con la presente direttiva; l’obbligo stabilito al paragrafo 1 di non presentare gli indagati o imputati come colpevoli non impedisce alle autorità pubbliche di divulgare informazioni sui procedimenti penali, qualora ciò sia strettamente necessario per motivi connessi all’indagine penale o per l’interesse pubblico.
La divulgazione di notizie – spesso ancora coperte da segreto istruttorio – e la successiva spettacolarizzazione di procedimenti non definiti, attraverso plastici e testimonianze in diretta TV, hanno finito per creare strumenti di pressione nei confronti delle parti processuali, a scapito di quelle che sono le garanzie costituzionali a tutela dei soggetti coinvolti.
Non sono rari i casi in cui la folla si è riunita davanti Corti e Tribunali, ritenendosi in diritto di valutare il grado di ‘giustizia’ delle sentenze e contestandone l’esito, sulla base non di quanto appreso dalle carte processuali, ma di quanto diffuso dal quotidiano di turno o da uno degli innumerevoli programmi di approfondimento.
Il ritardo del recepimento della direttiva è stato giustificato dai governi precedenti, per la presenza di una tutela – ancor più garantista – già contenuta all’interno del nostro ordinamento.
Seppur vero che il principio di non colpevolezza in Italia gode di una tutela di rango costituzionale, è altrettanto vero che nella quotidianità è bistrattato e trascurato e che il soggetto, indagato o imputato per un qualsiasi reato, agli occhi dell’opinione pubblica resta colpevole anche in caso di sentenza di assoluzione. E dunque ben venga la sollecitazione dall’Europa a non abbassare mai la guardia e a ricordare che la presunzione di non colpevolezza è un principio basilare di ogni Stato di diritto e democratico.
E ben venga l’intervento legislativo del Parlamento italiano, anche con cinque anni di ritardo.
Il tema sta particolarmente a cuore alla Commissione Informazione Giudiziaria e Mass Media che si pone come obiettivo la garanzia di un reale bilanciamento tra il diritto-dovere di cronaca dei mezzi di comunicazione e il pari diritto dei soggetti coinvolti di vedere assicurate le tutele e le garanzie di cui sono titolari.
L’imputato non è colpevole fino alla condanna definitiva.
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